I C’ERA UNA VOLTA CHE INSEGNANO

I C’ERA UNA VOLTA CHE INSEGNANO

C’era una volta.

È così che iniziano le migliori favole che si sono tramandate nei tempi: nei castelli e nelle baracche, nei deserti, nei boschi, nelle praterie, o semplicemente davanti al focolare delle case contadine durante i lunghi e freddi inverni; spesso raccontate dalle persone più umili che hanno condiviso esperienze e tradizioni. 

Vincitori e vinti, ricchi e poveri, arroganti e semplici. In ogni finale, che la meglio sia destinata a buoni o cattivi, c’è sempre un insegnamento, una morale educativa.

Ricorrenti nella cultura di ogni paese, dove luoghi e tradizioni si sono intrecciate, la favola è diventata parte della cultura e delle tradizioni popolari, un vero e proprio genere letterario tradotto in molteplici lingue, avente spesso come protagonisti animali o elementi della natura.

La favola è, quindi, uno strumento di comunicazione fondamentale per tramandare conoscenza, destinato a formare futuri uomini e donne responsabili autori di una società che, oggi più di ieri, deve essere in grado di accogliere l’unicità come mezzo fondamentale per migliorarla ed essenziale per traferire la cultura dell’inclusione.

Gettare basi solide in questa direzione fin dalla più tenera età permetterà di non dover fare enormi sforzi in seguito, nel tentativo di modificare l’educazione culturale delle persone. E di questo siamo responsabili tutti, in primis genitori ed educatori in senso più generale.

 In questo necessario cambiamento, molte delle favole probabilmente sarebbero da revisionare per rispondere maggiormente ai bisogni dell’inclusione benché sia improponibile e, forse, non corretto poter pensare di mettere le mani su certi testi roccheforti della cultura infantile di tante generazioni precedenti. Tuttavia ormai da tempo è vistoso l’impegno per dare il via ad una tradizione inclusiva, inserendo, nei testi, personaggi in grado valorizzare le infinite differenze che appartengono a ogni essere umano, aiutando così i bambini a considerare che non esistono confini capaci di impedire l’accoglienza di tutte quelle persone che ne sembrano apparentemente estranee.

PICCOLA GRANDE ARCOBALENO

Tutti gli anni nel mese di settembre il Re Sole celebrava il gran ballo notturno di fine estate.

Per l’occasione erano invitati gli astri del cielo e tutti gli eventi atmosferici. Durante la serata veniva premiato uno tra i giovani, distintosi durante l’anno per le proprie doti. Pioggia, figlia della Contessa, apriva il corteo, seguivano i gemelli Nuvola, rispettivamente figli del Barone e della Baronessa, e per ultima la timida Arcobaleno, figlia del celebre Visconte Arcobaleno di tutti i cieli.

Si raccontava che la piccola, fiera del suo ruolo, non possedesse tra i colori tipici dell’arcobaleno il giallo, ma un apparente pallido color argento.

La sera della festa sembrava tutto perfetto, come voleva l’anziano Re.

La pista da ballo era splendente: musica, lampadari scintillanti, cibo gustoso e raffinato.

Dopo l’ingesso ufficiale di tutti gli invitati, sfilarono a turno davanti al Re i giovani debuttanti. Piccola Pioggia raccontò la sua maestria nell’aver irrigato i campi durante la siccità, salvando la produzione dei pomodori che adesso erano pronti per la raccolta.

I due gemelli Nuvola spiegarono come avevano aiutato gli animali a ripararsi sotto di loro, per sfuggire al caldo soffocante nelle lunghe settimane di agosto.

La timida Arcobaleno non descrisse alcuna azione eroica, se non l’aver compiuto il proprio dovere, apparendo ogni volta dopo un temporale.

Durante la serata un guasto elettrico lasciò improvvisamente al buio tutto il regno, i presenti sorpresi e spaventati per l’imprevisto.

Come per miracolo una scia argentata e luminosa avvolse ogni cosa, restituendo ben presto la luce dappertutto. Immaginate lo stupore e l’incredulità di tutti i presenti quando si scoprì che quel bagliore luminoso proveniva proprio dalla piccola Arcobaleno!

La festa fu salva. Quella sera venne proclamata dal Re Sole la vincitrice della gara.

 

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